Alla ricerca della Sovranità perduta
Sul tema Unione monetaria in Europa e per comprendere come si sia giunti alla cessazione della sovranità dei singoli stati europei, meritevole di attenzione è il progetto del Comitato Delors (1988/1989) https://www.ecb.europa.eu/ecb/history-arts-culture/archives/delors/html/index.it.html. Come merita attenta lettura lo studio denominato One market, one money.pdf pubblicato dalla Commissione Europea per gli studi Economici e finanziari nella Rivista Economia europea, ( ottobre 1990) che riprende il disegno del Piano Werner del 1970 di creare un’unione monetaria in quella che allora era la Comunità Economica Europea.
Si tratta di studi basilari, condotti dalla Commissione Europea allora presieduta da Jacques Delors, Presidente della Commissione europea dal 1985 al 1995. Ed è questo il periodo in cui viene istituito il mercato unico con la stipula dell’Atto unico europeo e il Trattato di Maastricht stipulato il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1 dicembre 1993 e da cui poi si da vita all’Unione Europea.
Gli studi sono dominati da una concezione economica per cui tutto può ricondursi alla analisi delle risorse utili alla sfera delle attività produttive. Essi si soffermano sull’importanza della politica finanziaria e monetaria che deve diventare centrale per ogni singolo Stato membro e forniscono le coordinate di indirizzo per costruire il progetto del modello economico europeo sfociato nell’unione monetaria, facendo seguito alla attuazione della Direttiva comunitaria del 24 giugno 1988, che apre alla liberalizzazione e ai movimenti di capitali: “Gli Stati membri sopprimono le restrizioni ai movimenti di capitali effettuati tra le persone residenti negli Stati membri, fatte salve le disposizioni che seguono. Per facilitare l’applicazione della presente direttiva i movimenti di capitali sono classificati in base alla nomenclatura riportata nell’al legato I. 2. I trasferimenti relativi ai movimenti di capitali si effettuano a condizioni di cambio uguali a quelle praticate per i pagamenti relativi alle transazioni correnti” (art. 1 della Direttiva del 1988) direttiva liberalizzazione capitali 24.06.1988.pdf.
Gli studi evidenziano quanto sia importante l’unione economica tra paesi ai fini della liberalizzazione.
Senza una unione economica ogni paese aderente continua a prevedere politiche commerciali, monetarie e fiscali differenti, con le differenze tra strutture industriali, agricole e sociali di ciascun paese europeo. Ne derivano effetti su rialzi di prezzi a seconda del paese e delle circostanze specifiche e quindi anche i mezzi impiegati per contrastare detti rialzi continuano ad essere differenti.
Si individua la strada da seguire per un modello sociale ritenuto “armonioso”: che è la liberalizzazione degli scambi e delle merci da conseguirsi tramite l’unione economica. Detta unione, sé è efficiente, non esige la sovranità politica degli stati nè la centralizzazione delle competenze di tipo politico, perché, in questo caso, il sistema economico se è presidiato da barriere protettive di tipo giuridico è capace di autoreferenziarsi e di raggiungere un sufficiente grado di autonomia.[1]
L’intero impianto è pensato in funzione del principio del mercato, senza restrizioni, senza doppi prezzi, senza dazi, senza privilegi tariffari. Laddove il più alto livello di produttività può essere raggiunto in uno scenario di ripartizione della produzione tra gli stati aderenti e ove lo stesso mercato, se lasciato libero e senza condizionamenti da interventi dei singoli stati, è in grado di realizzare la più ampia espansione possibile dell’economia e assicurare crescita e benessere. Ma alla visione del libero mercato va affiancato un altro elemento di base che deve connotare l’intero processo dell’unione monetaria. Quello della stabilità dei prezzi e il contrasto all’inflazione[2].
Stabilità dei prezzi significa che essi non devono aumentare in modo significativo altrimenti si cade nell’inflazione, né diminuire per lungo tempo pena la deflazione con effetti negativi sull’economia.
I prezzi stabili aiutano gli investimenti, riducono le incertezze e il rischio di inflazione la quale è causa di disoccupazione e di basso livello di reddito pro capite, allo stesso tempo riducono la variabilità dei prezzi con tutto ciò che ne consegue in termini di stabilità dell’occupazione e del sistema fiscale e previdenziale.
Dall’analisi emerge che per dare centralità alla politica monetaria diviene imprescindibile concentrare in un organismo esterno alla sovranità politica degli stati tutte le scelte che devono coinvolgere i settori della moneta e della finanza.
Ragionando diversamente secondo quanto emerge dagli studi in questione, optando cioè perché ogni singolo stato membro possa compiere scelte monetarie differenti, la conseguenza su scala europea sarebbe la frammentazione della programmazione dell’economia e del bilancio comunitario a discapito della crescita e del benessere dei paesi europei aderenti.
Per la commissione presieduta da Delors il passo da compiere è la rinunzia degli Stati ad accedere al credito se non alle condizioni imposte dagli organismi comunitari e l’accettazione delle regole applicate a qualsiasi soggetto privato. Rinunciare al credito significa che ciascun Stato membro perde il potere sulla moneta nazionale, perde il potere di mutare il tasso di cambio per trasferirlo ad una autorità esterna. La visione è chiara e articolata.
Da qui ne consegue il successivo passaggio argomentativo.
Riconosciuto il principio prioritario del libero mercato e riconosciuto che al libero mercato deve affiancarsi l’altrettanto principio prioritario della stabilità dei prezzi, la Commissione ritiene essenziale individuare degli apparati istituzionali che assumano il ruolo di “controllori” affinchè tutto si muova nel rispetto di detti principi.
In base a questo assunto, il mercato e soprattutto il processo della stabilità dei prezzi non possono essere lasciati al libero o spontaneo andamento, perché senza un criterio guida non sempre sono in grado di individuare la giusta risposta o di valutare correttamente il rischio di default[3]. Viene con convinzione escluso che un organismo elettivo dotato di sovranità politica possa svolgere direttamente la funzione di garanzia del funzionamento dell’intero meccanismo, attesa la conflittualità tra gli Stati e l’assenza delle condizioni politiche per giungere all’unificazione politica dell’Europa.
In assenza di una sovranità politica europea non ancora matura e non essendo conseguibile in quel momento storico il totale superamento degli stati singoli, la Commissione studi individua nel Trattato da stipulare tra gli Stati lo strumento sostitutivo e per certi versi compensativo alla carenza del tassello che deve condurre all’unificazione completa. Al ruolo della sovranità politica europea si sopperisce con un apparato complesso di norme a cui si demanda di fare da guida, con l’indicazione di parametri rigorosi cui il principio del libero mercato e della stabilità devono sottostare. Tramite il Trattato si individuano organismi istituzionali da destinare al controllo, al rispetto o all’eventuale intervento in caso di violazione. Particolare significato assume la procedura del rispetto dei vincoli in materia di bilancio e di spesa pubblica che è assunta a condizione essenziale per una politica di stabilità dell’intero processo gestito dagli organismi comunitari.
E’ una visione che guarda con diffidenza alla sovranità politica degli stati e l’instaurazione dell’unione monetaria è volta a neutralizzare le rivalità secolari tra i paesi europei quantomeno a restringere o limitare lo spirito di nazionalismo insito in essi.
Ma al contempo è una visione che non vuole lasciare le forze del mercato in totale libertà, tenta quindi di incanalarle dentro un sistema rigido e vincolante incentrato sulla stabilità della moneta. Per questo il Trattato, secondo la visione indicata, diviene essenziale perché deve contenere precise prescrizioni finanziarie e verificare tramite organismi istituiti a tal fine il corretto andamento ed eventualmente intervenire adottando idonee misure di adeguamento o sanzionatorie.
II versante argomentativo su cui si muove la Commissione studi è duplice: da un lato, in assenza delle condizioni storiche per creare l’unione politica, i singoli stati aderenti devono continuare ad esistere con la loro organizzazione amministrativa, territoriale, con i loro confini, con i loro poteri e le responsabilità sui cittadini, ma esclusi quelli trasferiti al Trattato.
Dall’altro, considerato il principio succitato della centralità della stabilità dei prezzi, il percorso da seguire è quello dello spostamento delle competenze in favore di quello che è, a tutti gli effetti, un organismo esterno ai singoli stati, di valenza comunitaria a cui si conferiscano ampi poteri in materia monetaria e finanziaria. Tutto quello che non viene conferito al Trattato rimane di competenza dei singoli stati.
Ovviamente, c’è un dato essenziale da considerare e su cui lo studio si è soffermato: nel momento in cui il singolo paese aderente rinuncia direttamente al potere sulla moneta, deve rinunciare indirettamente anche a ogni altro potere correlato anche fiscale di scelta che possa minare o compromettere in tutto o in parte l’esercizio del potere sulla moneta stessa conferito dal Trattato all’organismo in questione ( che in questo caso è la Banca centrale).
Infatti detto organismo deve assumere dei tratti salienti, tra cui in particolare quello di non dover essere condizionato dagli stati membri posto che il condizionamento deve dipendere dal processo del libero scambio e dal suo andamento ma il tutto rigidamente sottoposto ai vincoli imposti dal Trattato, dalle produzioni tra tutti i paesi aderenti, sia che le produzioni di beni e/o servizi si svolgano dentro oppure fuori l’Europa.
Ne discende allora che tutto quello che riguarda le scelte in tema di cambio tra monete, di politiche sulla formazione dei prezzi, tassi, riserve monetarie, dazi esterni, è devoluto all’organismo individuato della banca centrale e agli altri organi comunitari. Si riconosce che la stabilità dei prezzi se da un lato presenta i suoi benefici perché evita gli effetti dannosi dell’inflazione, dall’altro non può prescindere da parametri stringenti a cui tutti gli stati aderenti devono attenersi in modo omogeneo, come il rispetto di standard di bilancio, di procedure di indebitamento o il divieto entro determinati limiti di finanziare i debiti degli stati.
Questo articolato impianto così come costruito avrebbe generato secondo la previsione dello studio di Delors scenari negativi legati al possibile primeggiare delle forze del mercato, alla perdita del potere nazionale sulla moneta[4] nonché alle differenze di condizioni economiche e territoriali tra paesi. I Paesi aderenti al progetto dell’unione monetaria si presentano differenti per ragioni storiche, per struttura sociale ed industriale. Sono peraltro differenze sostanziali, laddove alcuni si caratterizzano per una politica nazionale più dipendente dall’esterno con una prevalente vocazione all’esportazione come Olanda e Belgio. Altri come la Francia per una economia improntata ad una maggiore autonomia che si traduce in maggiore interesse a prevedere strumenti di contingentamento o limiti alla libertà di scambio. Altri ancora come l’Italia vive di esperienze specifiche legate alla necessità di superare il divario tra nord e sud, alla produzione industriale non competitiva per costi elevati della manodopera e per la difficoltà nei trasporti e conserva una forte limitazione tariffaria, mentre la Germania da importanza al commercio esterno e l’importazione avviene per gli approvvigionamenti essenziali anche nel settore alimentare.
Alla luce di questo quadro critico, vengono individuati dei mezzi come i fondi strutturali per rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale e per ridurre il divario fra le regioni più avanzate e quelle in ritardo di sviluppo[5].
E’ tuttavia un intervento, quello dei fondi strutturali, basato sul co-finanziamento dei singoli stati nazionali, o su base regionale, e quindi lo studio giunge a riconoscere il limite di detti mezzi in quanto nel tempo avrebbe comportato una ulteriore costrizione per il bilancio del paese destinatario.
In effetti, alla luce della attuale esperienza l’osservazione di previsione sul co-finanziamento a distanza di anni deve reputarsi esatta.
Ad ogni buon conto gli effetti negativi sarebbero stati compensati nel medio lungo termine dal minor costo del debito dipendente da un andamento più favorevole dei tassi e al contempo compensati da un controllo incalzante, tramite imposizione dei rigorosi vincoli per frenare e neutralizzare l’imponenza delle forze del mercato.
Gli studi della Commissione Delors sono stati determinanti e hanno poi condotto allo sviluppo del Trattato dell’Unione Europea entrato in vigore nel 1993 con l’introduzione dell’euro come moneta unica in un unico mercato.
Con l’unione monetaria sancita nel Trattato, gli Stati membri hanno conservato la loro identità ma ne è disceso un significativo ridimensionamento e cessione di parte dei poteri sovrani, in particolare con rinuncia alla sovranità monetaria.
Quest’ultima rinuncia è a tutti gli effetti da qualificarsi come un trasferimento di poteri- in attuazione del disegno pensato dalla Commissione Studi, in favore dell’organismo istituito nel Trattato di valenza altamente tecnica della Banca Centrale Europea. Ma si va anche oltre: l’art. 2 del TFUE sancisce il principio di sussidiarietà della sovranità degli stati ”…Gli Stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria. Gli Stati membri esercitano nuovamente la loro competenza nella misura in cui l’Unione ha deciso di cessare di esercitare la propria”.
Il Trattato riporta in termini giuridici l’opzione pan-economicistica del progetto di costruzione europea di matrice liberale con il riconoscimento del mercato quale spazio aperto senza frontiere e la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, il riconoscimento della concorrenza e del divieto di aiuti di stato e di ingerenza degli stati nell’economia (v. artt. 26, 101 , 107, 119, 120 e ss TFUE), “1.…l’azione degli Stati membri e dell’Unione comprende, alle condizioni previste dai trattati, l’adozione di una politica economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza…”. ( art. 119 comma 1°); “Gli Stati membri attuano la loro politica economica allo scopo di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti all’articolo 3 del Trattato sull’Unione europea e nel contesto degli indirizzi di massima di cui all’articolo 121, paragrafo 2. Gli Stati membri e l’Unione agiscono nel rispetto dei principi di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo un’efficace allocazione delle risorse, conformemente ai principi di cui all’articolo 119” ( Art. 120 TFUE).Trattato TFUE .pdf .pdf
Dalla lettura dell’intero Trattato emerge la preoccupazione di far rispettare il principio della stabilità, in funzione della circolazione delle merci, capitali, valute, persone, servizi, unitamente al contrasto all’inflazione attraverso cui si può realizzare “lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata” (art. 3 TUE Trattato UE.pdf).
La stabilità monetaria piuttosto che essere richiamata come linea di indirizzo a cui conformare le scelte di politica economica, diviene imposizione ferma di vincoli e di prescrizioni finanziarie. L’imposizione è incalzante laddove i paesi aderenti devono assoggettarsi ai vincoli di bilancio e all’osservanza di limiti massimi nei rapporti tra l’indebitamento e PIL.
“….2.parallelamente, alle condizioni e secondo le procedure previste dai trattati, questa azione com- prende una moneta unica, l’euro, nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano l’obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nell’Unione conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza; 3.Queste azioni degli Stati membri e dell’Unione implicano il rispetto dei seguenti principi direttivi: prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia dei pagamenti sostenibile”. (art. 119 comma 2 e 3 TFUE).
Il prodotto interno lordo, l’indebitamento, il debito. (art. 126 TFUE, ex art. 104 TCE).
Sono questi gli elementi dell’impianto normativo europeo che devono segnare il percorso della produzione, della libera concorrenza e del mercato aperto.
Quanto sopra illustrato, pur in modo sintetico, desta perplessità e deve fare riflettere perché la cessione di sovranità a cui l’Italia come Stato membro ha rinunciato comporta l’accettazione di una serie di prescrizioni i cui effetti hanno condotto e stanno conducendo al graduale smantellamento dello stato amministrativo come disegnato dai Padri costituenti del 1948. La Repubblica Italiana privata della sovranità e dei poteri di autorità si riduce ad un organismo che deve ottemperare a condotte analoghe a quelle di un imprenditore privato.
Allo smantellamento però non è seguito ( né segue) il conferimento di poteri ad uno Stato analogo dotato di sovranità politica. Il sistema dei poteri dell’Unione Europea si rivela del tutto anomalo, senza precedenti nella storia delle organizzazioni amministrative degli Stati, differente sia nella ripartizione che nella rappresentanza rispetto a quelli delineati dai principi democratici della Costituzione italiana.
A questo punto si apre la questione enorme del ruolo e della attuale vigenza della Carta Costituzionale del 1948 nata dai Padri costituenti e, soprattutto, scelta dal popolo in un Assemblea Costituente come Corpo elettorale e in una condivisione di apporti e valori, si apre la questione del rapporto con l’apparato normativo dell’Unione e del percorso anomalo a tutti gli effetti “extraordinem” che ha condotto a rinunciare alla sovranità in assenza di una Assemblea Costituente eletta dal Corpo elettorale, ciò che all’evidenza denota un significativo deficit di democrazia il cui tema meriterebbe ampio approfondimento per fare piena luce e delineare i risvolti, gli effetti e le responsabilità.[6]
Sassari, 29 aprile 2024
Gianfranco Meazza
[1] “Economic union consists of a single market for goods, services, capital and labour, complemented by common policies and coordination in several structural, micro- and macroeconomic domains. An efficient economic union requires much less centralization of policy competences than monetary union.
[2] “…Price stability. This is a generally accepted objective, and beneficial economically in its own right. The problemis that of attaining price stability at least cost, andthen maintaining it. The Community has the opportunity of being able to build its monetary union on the basis of the reputation for monetary stability of itsleast inflationary Member States. Given the paramount importance of credibility and expectations in winning the continuous fight against inflation at least cost, this is a great advantage”.
[3] “…The second issue relates to the effectiveness of market discipline, i.e. the ability of markets to evaluate correctly default risk premiums and to trigger the appropriate response in the case of government borrowing”.
[4] “As shown in Table 5.7, except for Greece seigniorage revenues are already well below their levels of the early 1980s. Even assuming that without EMU governments would not choose to reduce inflation, the gross public finance cost of seigniorage revenue losses implied by monetary union only exceeds 1 % of GDP in Greece, because inflation in this country would still be at a high 15% level in the ‘1993’ scenario. However, this is clearly an upper bound since even without participation in EMU, Greece would be very likely to disinflate. The same is true to a lesser extent for Portugal whose inflation is still above 10 % in the first scenario. For Spain and Italy, however, the EMU effect is below 0,5 % of GDP”.
[5] “….Nevertheless, the southern States of the Community are those where this phenomenontakes higher proportions (see Graph 5.5). On the other hand, the lagging countries are more expansionary-prone given the challenges of the catching-up. Budgetary policy is less flexible in the less developed regions with the consequence that the temptation for surprise inflation as well as for other forms of implicit taxation is higher. Finally, it should be borne in mind that, in their present form, the transfers of the Community’s structural Funds have a direct impact on the national budgets, given that they co-finance public expenditure, and capital expenditure in particular. Having the nature of ‘matching-grants1 and having to respect the additionality principle, the transfers from the structural Funds are a constraint for the national (including regional) budgets’ management. Such a constraint may have significant proportions in the national (and regional) budgets of the lagging countries given that they are the largest recipients of financial support from the Community and given the relative magnitude of the received transfers (in the order of 3 % of GDP, see Box 9.4).
[6] Bibliografia: il nuovo concerto europeo, di Jacques Delors, 1993;
Rapporto European Economy, COMMISSION OF THE EUROPEAN COMMUNITIES DIRECTORATE-GENERAL FOR ECONOMIC AND FINANCIAL AFFAIRS, one Market, one Money, 1990;
Istituzioni di Diritto dell’Unione Europea , Ugo Villani, 2020;
L’Unione Europea, Piero S. Graglia, 2022;
Euro e (o?) Democrazia costituzionale, Luciano Barra Caracciolo, 2022.