Nella cultura occidentale permane la visione dualistica dell’essere e della ricerca esasperata del modello esemplare del dover essere costantemente orientata alla perfezione.
Ogni qualificazione dell’essere e del soggetto che si discosti da tale pianificazione ontologica composta da corpo-anima, terreno-divino, città di Dio-Citta degli Uomini, sensibile- intelligibile, immanente- trascendente, diviene causa negativa e allontanamento dall’ordine delle cose.
La natura è posta a disposizione per essere formata a immagine e somiglianza umana, materia potenziale da prendere e trasformare con l’artificio e la“téchne”.
Detta visuale ha storicamente giustificato la supremazia dell’uomo e l’antropocentrismo che, per come si sono declinati nei secoli, rimangono diffusi nella civiltà occidentale. Così persiste e prosegue, continuiamo a leggere e strutturare la realtà sociale, le relazioni tra umani e il nostro rapporto con la natura attraverso il miraggio, attraverso un ordine che eleviamo a “universale” che tende a escludere ciò che non si conforma. Un miraggio tale da rievocare il mito della caverna di Platone.
Questo ordine, dal punto di vista occidentale, viene considerato unico ed esclusivo, e viene rivestito di forme esasperate a cui però non corrisponde idoneo contenuto a causa della mancata applicazione dei diritti. Alla forma prevale una carenza di sostanza.
Inoltre si tratta di un universalismo illuministico che non ammette altri universi, che si propone di creare, modellare, plasmare, per poi essere esportato e applicato a tutte le civiltà, considerando le culture non occidentali come errate e quindi destinate a conformarsi al modello occidentale. Come se, in una illusione ottica, la nostra immagine del mondo corrisponda all’immagine dell’intera umanità.
Lungo il percorso millenario, però, sullo sfondo, si registra come lo sguardo occidentale orientato al dominio sia all’epilogo. L’eccesso del proprio “sé”, che l’Occidente si porta dietro da millenni, gli impedisce di andare oltre il proprio passato, di riconoscere altre immagini, o possibilità di altre storie dell’esistenza di altre civiltà dominanti a valenza millenaria, passate e presenti, di pari valore e dignità. Un limite che si manifesta nella riduzione del passato all’antichità circoscritta all’epoca greco romana- medioevo- età moderna. Tutto il resto è accessorio, contorno. Limite che si manifesta nell’atteggiamento di sufficienza con cui anche nelle scuole sono trattate e affrontate epoche lontane come- solo per semplificare- il Sargón di Akkad sovrano dell’antica Mesopotamia considerato uno dei più grandi conquistatori della storia “Re delle quattro parti del mondo”. Sintomatico evidentemente che altre immagini esistono e che, se anche non conosciute, hanno fatto la storia dell’umanità. Come quelle di altre grandi civiltà, Accadi, Sumeri, Assiri, Egiziani, dell’Asia, della Valle dell’Indo, Maya, Cinese e diverse altre.
Ne è derivata l’incapacità non solo teorica ma concreta di adottare un approccio meno dispotico nelle relazioni con altre civiltà, sebbene lo sguardo occidentale abbia avuto origine e viva da intrecci continui tra varie culture.
Piuttosto che rimanere ancorati alla convinzione che non esistano altre civiltà degne di nota o che quelle esistenti debbano necessariamente conformarsi al modello occidentale, serve promuovere un maggiore dialogo, non solo nel riconoscimento degli errori passati ma anche nella elaborazione di un nuovo rapporto tra l’io e il mondo, di un approccio diverso con la storia, con tutto ciò che appare nello sguardo lontano da noi, nel riconoscimento che altre civiltà millenarie sono esistite e tuttora esistono e non possono essere ignorate e trattate a margine o come elemento di contorno dell’umanità.
Sassari, agosto 2024
Gianfranco Meazza
Presidente Identità e Costituzione ets
Analisi delle radici culturali dell’Occidente