PILLOLE DI STORIA di Roberto Seri

(riflessione di Roberto Seri, laureando in Storia, Università di Bologna, Vicepresidente Identità e Costituzione ETS).

Il Ventesimo secolo ha visto l’affermarsi degli Stati Uniti come potenza mondiale, strappando il primato agli europei, troppo impegnati a massacrarsi durante le Guerre Mondiali.

Tutto iniziò con lo strano assassinio del principe Francesco Ferdinando, erede dell’Impero Austro-ungarico, in visita nel regno di Serbia. Scampato ad un primo attentato dinamitardo, venne ucciso poche ore dopo in una via parallela. Di lì a poco scoppiò il conflitto. Per combattere l’Impero tedesco, l’Impero austro-ungarico e l’Impero ottomano, gli alleati della Triplice Intesa: il Regno Unito, la Francia e la Russia, furono ad acquistare a credito materiali, derrate alimentari, armi e munizioni, presso le aziende americane. Con l’inasprimento del conflitto, le esportazioni verso il Vecchio Continente iniziarono a pesare per i due terzi sul giro d’affari. Per continuare a sostenere lo sforzo bellico, il governo U.S.A. fu costretto a garantire i prestiti bancari alle industrie americane.

L’America del tempo era isolazionista e dedita ai commerci. Il 10 luglio 1916 era stato convocato a Detroit il Primo Congresso Mondiale di Venditori, per parlare di commercio e non di guerra. Era un giorno molto particolare, che avrebbe segnato la storia, perché all’evento era presente il presidente degli U.S.A. Woodrow Wilson. Il suo era un intervento molto atteso dalla platea di venditori, perché si sarebbe tracciata la strada per il futuro economico del paese.

Gli americani dovevano iniziare una lotta per la conquista del mondo con mezzi pacifici”.

Si potevano seguire due strade: una che imponeva il gusto del paese produttore sulla nuova area da conquistare commercialmente, l’altra era quella di adattare i prodotti alle esigenze e ai gusti del nuovo mercato.

A detta di Wilson, rivolgendosi ad una platea di tremila venditori, era necessario fare attenzione alle esigenze dei consumatori, e diventare portatori di libertà, giustizia e umanità, così da rendere più comoda la vita degli altri popoli e farli felici.

Il Presidente fu il primo ad avere la consapevolezza che i beni materiali avrebbero favorito la causa governativa, utilizzando una comunicazione seduttiva, tipica delle società dei consumi, si sarebbe esercitata una diplomazia aperta.

Wilson aveva fatta propria la democrazia del riconoscimento, come indossare sempre un certo tipo di capi di abbigliamento o di marca, perché avrebbe favorito l’accettazione delle diversità, giunte da lontano. La parola d’ordine era la ricerca del profitto, che avrebbe permesso di abbattere le barriere dei gusti, ritenute la principale causa dei conflitti.[1]

Le parole di Wilson anticiperanno l’idea di Impero del Mercato, che diventerà uno strumento per imporre una democrazia basata sui consumi, diffondendo l’illusione della concordia e modellando i gusti dei consumatori, per un fine egemonico.

Contrariamente Henry Ford, dopo aver inventato la catena di montaggio per produrre la prima utilitaria al mondo, il Modello T fabbricato a Detroit, sfruttando gli studi di Taylor sull’efficienza industriale. La sua genialità di imprenditore fu di garantire ai suoi dipendenti dei salari dignitosi, doppi rispetto alla concorrenza, e di praticare prezzi molto bassi, proprio per acquistare il Modello T della Ford. Non a caso, furono proprio i pubblicitari della Ford a diffondere il nuovo verbo commerciale: efficienza, progresso e servizio, e promuovere il sorgere di un nuovo impero.

L’egemonia commerciale statunitense stava per assaltare il Vecchio Continente, che per secoli aveva dominato gli interscambi mondiali. Il Mediterraneo era stato il cuore pulsate dei commerci, ma dopo le esplorazioni i traffici si erano spostati negli oceani, dove gli olandesi erano diventati leader per circa un secolo, prima di venire superati dai britannici.

L’Europa e le sue corti erano la culla dei consumi del lusso e delle distinzioni sociali; mai avrebbero pensato di essere superati dal nuovo paradigma americano, che basava il suo successo sui consumi di massa. Il nuovo Impero del Mercato si caratterizzava su cinque tratti distintivi.

Il fine era di riuscire a far accettare il libero mercato, con giustificazioni ingegnose, così da monopolizzare politicamente gli scambi commerciali, limitando le sovranità nazionali, con pratiche commerciali volte a travolgere culture e tradizioni locali. Chiunque osasse ostacolare gli americani con dei dazi veniva etichettato come protezionista, intollerante e oscurantista, che invece in casa loro erano difficili da penetrare commercialmente.

La potenza dell’Impero del Mercato doveva esportare modelli della società civile, come associazioni, cineasti, concessionari, pubblicitari, che esportavano novità e metodi per conquistare i mercati europei, seguendo strettamente le direttive del Dipartimento del Commercio e di Stato.

Il tratto distintivo dell’Impero del Mercato era la sua forza normativa, che doveva adattarsi alle procedure locali, con norme, all’apparenza naturali, che finivano per essere strumenti di micropotere.

La parola chiave con cui l’Impero del Mercato poteva manipolare i commerci era la sociabilità, attraverso la fidelizzazione dei clienti, e la ricerca di nuovi consumatori, la proposta di nuovi servizi, abbastanza da fare sfoggio di un’etica democratica come la standardizzazione dei consumi, egualitari e noti. Tali concetti si contrapponevano alla solidarietà europea, alla comunanza di tradizioni e di diritti, che garantiva alcuni ed escludeva altri. La democrazia dei consumi spogliava di autorità le comunità locali. L’ambiguo ricorso ad una forza moderata pur di imporre un libero mercato, veniva fatta passare come alternativa alla violenza, mentre stravolgeva le consuetudini e gli equilibri locali.

La mentalità europea si era consolidata sulle divisioni sociali, quale retaggio aristocratico che privava di risorse alcuni a favore di altri. Le diverse ondate migratorie verso l’America svilupparono una forte tendenza ai consumi e alla scalata sociale, per mezzo degli scambi commerciali. Grazie agli enormi spazi disponibili e in assenza di una nobiltà, si consolidò una forte classe media e una cultura industriale, sconosciuta nel Vecchio Continente.

Nel frattempo, la storica neutralità americana stava per essere messa in crisi dall’enorme esposizione finanziaria, senza garanzie, concessa agli europei. Wilson fu costretto ad aspettare la sua rielezione del 1916 prima di correre ai ripari e iniziare a convincere il popolo americano a rompere il suo tradizionale isolazionismo. L’ipotesi di una possibile sconfitta di francesi e inglesi, quindi l’impossibilità di ripagare i debiti contratti con gli americani, convinse la presidenza e i più importanti gruppi di interesse, ad intervenire in Europa. Per gli U.S.A. era diventata una questione squisitamente geopolitica, per mostrare il loro enorme potenziale industriale e bellico, così da conquistare l’egemonia in Europa.

Roberto Seri, giugno 2024


prima parte

(riflessione di Roberto Seri, laureando in Storia, Università di Bologna, Vicepresidente Identità e Costituzione ETS).

Le scoperte, le invenzioni e le nuove strategie

 Grazie allo sviluppo dell’astronomia, della matematica per la navigazione, all’invenzione della bussola nautica e la progettazione di nuove imbarcazioni, gli europei avviarono le Esplorazioni Geografiche che permisero lo sviluppo dei commerci. Gli europei svilupperanno armi da fuoco sempre più raffinate, tattiche militari innovative, con le quali conquisteranno l’egemonia su vaste aree. Così, grazie a uomini ambiziosi e coraggiosi, si avvieranno le esplorazioni in aree geografiche sconosciute.

Il pioniere delle esplorazioni

Abbiamo un debito di riconoscenza nei confronti di un giovane principe, noto come Enrico il Navigatore[1] che non potendo succedere al trono del Portogallo dedicò la sua vita a promuovere la navigazione. Distintosi in battaglia gli venne concessa la giurisdizione sull’Algarve[2]. Nel promontorio più estremo venne costruita la Villa dell’Infante, una fortezza, presto nota come Scuola di Sagres, in cui si riunivano i maggiori esperti, cartografi[3], geografi e progettisti nautici[4], di nazionalità diverse. I portoghesi avevano un nuovo modello organizzativo, basato su una precisa mappatura delle coste, dei fondali, dei venti e delle popolazioni scoperte lungo le rotte. All’interno del Centro Studi venivano custodite tutte le informazioni raccolte e venivano pianificate nuove esplorazioni.

 La prima scoperta fu l’isola di Porto Santo nel 1418, poi l’isola di Madera nel 1419, infine le Azzorre nel 1455. La collaborazione del genovese Antonio da Noli e del veneziano Alvise Da Mosto permetterà la scoperta delle isole di Capo Verde e la foce del fiume Gambia. Enrico il Navigatore comprese l’importanza di fortificare degli avamposti lungo la costa. Il primo forte venne edificato sull’isola di Arguin, per caricare e rifornire le navi che commerciavano nei territori vicini, senza la necessità di fare ritorno in patria.

La circumnavigazione dell’Africa

Il re Giovanni II, nella speranza di avere notizie sul leggendario Prete Gianni[5], diede slancio ai commerci, concentrando sulla Corona il loro controllo, precedentemente in mano dei privati. Fece costruire la fortezza di Elmina in Ghana, per controllare le coltivazioni della canna da zucchero. Un grande traguardo venne raggiunto nel 1488, quando l’esploratore Bartolomeo Diaz superò il Capo di Buona Speranza[6], proseguendo per altri 800 chilometri a Est, sino a toccare la Baia di Algoa, ebbe la certezza di aver raggiunto la punta estrema del continente africano. Diaz aveva trovato la rotta che avrebbe portato i portoghesi nelle Indie.

In Europa, durante le primissime fasi dell’Età Moderna, il progressivo declino delle Repubbliche e Signorie italiane, vide il consolidamento dell’egemonia spagnola, dopo il matrimonio tra Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia nel 1469. Quando i reali di Spagna conquistarono il Sultanato di Granada nel 1492, posero fine a settecento anni di dominazione musulmana. Il fato volle che i reali di Spagna incontrassero Cristoforo Colombo e gli affidassero una spedizione con l’intento di raggiugere le Indie da Occidente.

Le bolle papali

La scoperta causale delle Americhe, permetterà ai reali di Spagna e Portogallo di ottenere la bolla Inter Caetera, da papa Alessandro VI nel 1493 che sanciva la divisione del mondo in due emisferi, con lo scopo di convertire al cattolicesimo i pagani. La linea di demarcazione correva lungo un meridiano posto a 100 leghe[7] dalle isole Azzorre. La Bolla concedeva agli spagnoli la sovranità sulle terre scoperte a Occidente del confine stabilito, mentre quelle scoperte a Oriente rientravano nel possesso portoghese. Nel 1494, in seguito alle lamentele di re Giovanni II del Portogallo, venne redatto il Trattato di Tordesillas che traslava il confine a 370 leghe dalle isole di Capoverde. L’accesso illimitato ai metalli preziosi americani, garantirà ai reali di Spagna l’egemonia sul continente europeo.

 L’arrivo dei portoghesi nelle Indie

Il Portogallo, tra l’incoronazione di re Emanuele e il matrimonio con Isabella di Trastamara[8], sprecò sette anni prima di riprendere le esplorazioni. La flotta in partenza per le Indie venne affidata a Vasco De Gama. Superato l’ostacolo di Capo di Buona Speranza, l’ammiraglio raggiunse prima Mombasa, poi Malindi. Infine, nel 1497, le navi portoghesi arrivarono nelle acque antistanti il porto di Calicut in India. Vasco de Gama era solito servirsi di degrados[9] prima di sbarcare i suoi uomini a terra. A Calicut, un ebreo convertito, di nome Joao Nunez che parlava un po’ di arabo, scese e incontrò un paio di commercianti che lo apostrofarono: “Che il diavolo ti porti, chi ti ha portato qui”? Nunez rispose: “siamo venuti a cercare cristiani e spezie” (Bernstein, 2008).

I portoghesi utilizzavano la diplomazia per ottenere le autorizzazioni dai regnati locali, avviare i commerci e costruire sedi proprie. La compresenza musulmana avrebbe reso difficili i commerci portoghesi nel Subcontinente indiano, perché vigeva una sorta di libero mercato. Volendo imporre un monopolio, i portoghesi entrarono in rotta di collisione con chi non lo permetteva. Ben presto i rapporti divennero violenti. L’evento più importante, dal punto di vista strategico, è stato la conquista di Goa, da parte dell’ammiraglio Albuquerque, dopo un paio d’anni di scontri, finirà per diventare il più importante avamposto portoghese in India per quasi cinquecento anni. Non a caso, le spedizioni regolari da Goa a Lisbona erano l’ossatura principale della rotta reale, nota come Carreira da India[10]. Nel XVI secolo i portoghesi riuscirono a sostituirsi agli arabi nel commercio delle spezie in Oriente. Il clamoroso successo economico dei regni di Spagna e Portogallo convincerà altre nazioni ad entrare nei commerci sulle lunghe distanze.


[1] Terzo figlio di re Giovanni I e di Filippa di Lancaster.

[2] Regione meridionale sulla costa Ovest del Portogallo.

[3] Tra questi il cartografo ebreo Yehuda Cresques, arrivato dalle isole Baleari per insegnare a disegnare le mappe.

[4] Venne studiata e costruita la nota Caravella, imbarcazione regina dei mari in quegli anni.

[5] Un personaggio circondato dal mistero, si pensava avesse fondato un regno cristiano in Africa o in Asia.

[6] Provvisoriamente chiamato Capo delle Tempeste per una burrasca incontrata da Diaz durante il ritorno.

[7] 1 (una) Lega marina corrisponde a 4,8 Km.

[8] Figlia dei reali di Spagna.

[9] Detenuti portoghesi selezionati per le loro conoscenze linguistiche.

[10] Stephan Conermann, Storia del mondo – Imperi e Oceani 1350-1750, a cura di Wolfgang Reinhard, Torino, Einaudi, 2016.

Roberto Seri, settembre 2024